Intervista ad Emma Marrone, eccovi il suo racconto crudo, vero, toccante, senza filtri su quello che le è accaduto in queste ultime settimane, lontana dal mondo dello spettacolo…ecco chi è veramente Emma! C’è spazio ora nella sua vita per l’amore?

Intervista ad Emma Marrone, eccovi il suo racconto crudo, vero, toccante e senza filtri su quello che le è accaduto in queste ultime settimane, lontana dal mondo dello spettacolo…ecco chi è veramente Emma! C’è spazio ora nella sua vita per l’amore?

Emma Marrone intervista Vanity Fair

 

“Ammalarsi è sempre ingiusto, ma non ho mai pensato: “Perché capita di nuovo a me?”.

Inizia così l’intervista di Emma Marrone sulla rivista “Vanity Fair”.

“Il problema che ho avuto. Mi sono detta: “È successo, mi curo, torno, e così è stato”. Sono uscita allo scoperto sui social perché avevo preso un impegno lavorativo e promesso di esibirmi a Malta. Siccome ho rispetto dei soldi degli altri, perché mi ricordo cosa significhi metterli da parte per andare a un concerto, e lì c’era gente che li aveva già spesi, ho parlato. Altrimenti, le dico la verità, sarei stata in silenzio.”

Come saprete Emma nelle scorse settimane è stata sottoposta ad un intervento chirurgico urgente, per contrastare l’insorgere di un tumore maligno a distanza di circa dieci da un precedente intervento; il magazine ci propone un’intensa intervista che abbiamo letto tutta d’un fiato:

“D: Dolore e coraggio, inferni e paradisi, non le sono mai mancati.”

“Sicuramente non mi è mancato il coraggio, ma neanche la capacità di reagire. Perché fondamentalmente questa sono: una cacasotto che conosce la reazione. Con un certo grado di retorica, mi hanno sempre descritta come una che non ha paura di niente, ma non è vero. Anzi è falso.”

“D: Quindi nelle scorse settimane ha avuto paura?”

“Sì, molta. Ma non è la paura a provocarmi l’infelicità. Non lo è mai stata. La paura mi ha sempre aiutato a non fare cazzate. A definire i confini. Non ho mai creduto a quelli che dicono: “Non ho paura di niente”. Beati loro. Io sono diversa. So affrontare il malessere fisico e tutto ciò che è legato ad una malattia, ma delle malattie o della morte, come tanti, ho paura anche io.”

“D: E di cos’altro ha paura?”

“Ho paura di fallire, di non riuscire a realizzare i miei sogni, di restare sola, di non essere amata, capita, apprezzata, per esempio, per quest’ultimo disco. Vorrei che fosse quello della rinascita artistica e non l’album da incensare soltanto perché sono stata male.”

“D: Il disco si intitola Fortuna.”

“Non ho mai creduto al destino né alla sfiga. Il metro della tua vita sei tu: è il tuo modo di scuoterti, di ovviare ai problemi, di affrontarli per quello che comportano che dà la cifra di quel che sei davvero. C’è gente a cui è andata sempre bene e gente a cui è andata sempre male, ma non è questo a determinare la tua felicità. A fare davvero la differenza non è mai quel che possiedi, e anche tra le persone a cui è andata sempre bene, mi dia retta, non è che ne veda tante poi veramente felici. Ti verrebbe da dire: “Madonna, non ti manca niente! Perché allora sei tanto frustrato, arrabbiato, depresso e triste?”.”

“D: Lei come si definirebbe?”

“Non sono una che deve essere felice a tutti i costi: adesso, come da bambina. Non sono mai stata una che deve sforzarsi di far vedere che va sempre tutto bene o che sorride a bocca larga: non devo per forza esprimere una felicità che non esiste. Sono sempre sincera: se non sono serena o allegra, lo posso tranquillamente dire.”

“D: E adesso, dopo l’operazione, come si sente?”

“Adesso sono serena, azzarderei addirittura felice.”

“D: E nelle 48 ore successive alla scoperta del ritorno del male?”

“Con gli occhi umidi. Ho pianto per due giorni perché ho imparato che tirare fuori tutto subito è meglio di covare il dolore, ma ero nera. Sentivo che la vita mi stava togliendo una possibilità. Ai medici continuavo a dire: “Fatemi cantare al concerto”. “Vasco Rossi ha scritto un pezzo per me”, “Non posso andare a Malta e operarmi dopo?”.”

“D: E i medici cosa le hanno risposto?”

“Che non era il caso “di aspettare ancora o peggio di rischiare”. Ho dovuto accettarlo e ho capito una cosa fondamentale.”

“D: Quale?”

“Che accettare non significa farsi andare bene ogni cosa o aspettare passivamente quel che ti accadrà, ma costruire la propria serenità. Ho avuto un problema di salute, ma non l’ho combattuto né respinto. L’ho fatto mio, l’ho digerito, me lo sono fatto scivolare addosso.”

“D: In Fortuna canta: “Più gira male e più mi va bene”.”

“Con il tempo ho cercato di imparare a vedere sempre il bicchiere mezzo pieno. Non sono arrabbiata e non sto combattendo. Adesso è girata così, ma domani non è affatto detto che non giri diversamente.”

“D: Ha rappresentato un approccio utile anche durante i suoi giorni difficili?”

“Per accettare una cosa del genere è necessaria molta più consapevolezza di quanto non ne serva per combattere. Accettare di star di nuovo male mi ha aiutata ad arrivare all’intervento con serenità. Sono entrata in sala operatoria col sorriso e ne sono uscita nello stesso modo. L’operazione non mi ha incattivito: non sono arrabbiata con la vita, al limite alla vita sono grata.”

“D: Il primo tumore all’utero la colpi nel 2009.”

“Quando avevo 25 anni. La stessa età in cui mia madre, una roccia, il mio mito, una donna che non alza la voce, ma stringe i denti e sibila, l’unica persona che riesca veramente a smuovermi delle cose dentro e a mettermi paura, venne colpita da un linfoma. Chi era mia madre all’epoca? Una ragazza senza capelli che vomitava per le cure, viveva in Toscana e con mezza lira in tasca si appoggiava illecitamente alla casa dello studente o dagli amici per dormire gratis. Io sono stata fortunata. Anche nella disgrazia ho sempre avuto una botta di culo.”

“D: Alla terza operazione in dieci anni stupisce sentirle dire una cosa simile.”

“Faccio un lavoro che mi dà la possibilità economica di poter scegliere la maniera migliore per curarmi e i medici giusti e invece di essere allegra, piango.”

“D: Perché piange?”

“Perché persone che si fanno il mazzo in fabbrica e lavorano il triplo di me meriterebbero di essere curate nello stesso modo e invece non ci prendiamo in giro la medicina non è uguale per tutti. Come vivono gli altri lo vedo tutti i giorni. Vado spesso al Bambin Gesù a trovare i bambini e mi sono passate accanto tante storiacce: genitori che non possono permettersi un b&b e per stare vicino ai flgli dormono in macchina. Ecco cosa mi ha fatto davvero male nei giorni di cure, di tagli e di ospedali e di disordine emotivo: non tanto superare quello che mi è successo, ma pensare a chi è chiamato a sacrificare tutto senza avere niente. Non voglio sembrare paracula, ma è la verità.”

“D: Sente di avere un’ipoteca sulla sua vita?”

“Mi sento come una che deve guadagnarsi ogni giorno a prescindere da quello che mi è successo, però no, non sento di avere la vita ipotecata. Sarebbe pesante. Mi deprimerei e come dicono i medici, la guarigione passa anche dalla testa. Ne sono convinta: mi dia della superficiale e mi etichetti pure come vuole. Non sarebbe il primo, sa?”

“D: A etichettarla?”

“Nessuno mi ha mai regalato niente e rispetto ad altri miei colleghi ho dovuto faticare il doppio per essere capita, amata, rispettata e accettata, almeno artisticamente.”

“D: Umanamente invece?”

“Sono circondata da un amore infinito che in questo frangente particolare mi ha stupito. Nessuno di quelli che mi vuole bene o delle persone che vengono ai miei concerti facendo molti sacrifici mi ha chiesto cosa avessi esattamente. Ma semplicemente: “Come stai?”. È come se il mio pubblico fosse cresciuto con me, fosse diventato maturo al mio stesso ritmo e fosse finalmente diventato il mio specchio. Nessuna curiosità morbosa, nessuna domanda indiscreta: solo la gioia di vedermi di nuovo in piedi. D’altra parte ogni tanto incontro lo sguardo pietoso degli altri e mi incazzo: non ho bisogno di nessun pietismo. Ma di rispetto. L’altra sera ero in un ristorante e una ragazza mi ha regalato un sorriso bellissimo. Stava dicendo: “Che meraviglia vederti tornare a sorridere con i tuoi amici”. A volte nel silenzio c’è tutto.”

“D: E nelle parole?”

“C’è troppo. Da parte di gente che non sentivo da un anno che mi ha mandato messaggi rimasti senza risposta. Sui social, dove impera la tuttologia, mi hanno scritto di tutto: da “Ti sei ammalata perché mangi troppa came” a “ti sei ammalata perché hai molte vite irrisolte”. Mi sono manifestata con la mia voce anche per questo: volevo comunicare le ragioni di un’assenza in modo delicato e senza allarmismi, non volevo creare casino né tantomeno dar luogo a un melodramma. Poi il casino è scoppiato lo stesso.”

“D: Con lei è sempre così: fin dai tempi in cui andava ad Amici. Quel pregiudizio nei suoi confronti, per alcuni il peccato originario, vive ancora?”

“Senza Maria De Filippi e Amici la mia vita non sarebbe stata la stessa e non sarei la donna che sono oggi, ma se sento parlare ancora di pregiudizio mi cadono le braccia. Non è solo anacronistico, è ridicolo. Fanno tutti gli snob, però poi gli dai una poltrona, un ricco cachet ed ecco che lo snobismo si attenua, si diluisce e finisce nella dichiarazione dei redditi. Ci vorrebbe un po’ di dignità. Un po’ di coerenza.”

“D: Anche nel giudizio su di lei?”

“Ho dieci anni di carriera. Ho cantato con De Gregori, Battiato, Renato Zero, Ramazzotti, Bertè, Daniele, Mannoia, Jared Leto. Ma qual è il problema? Cosa devo dimostrare ancora?”

“D: Si risponda.”

“Agli altri niente, a me stessa ancora tutto. So di poter migliorare, lavoro ogni giorno a questo scopo.”

“D: Come si spiega la resistenza di un certo mondo nei suoi confronti?”

“Credo di aver sempre dato l’impressione di essere una persona indipendente e autonoma che non chiede favori, aiuti e facilitazioni a nessuno. Un po’ perché sono già stata facilitata nella vita e un po’ per indole. Non ho mai fatto parte di lobby esistono, eccome se esistono oppure sto antipatica a pelle, potrebbe anche essere. Una cosa però la so: magari ci metto tre anni in più ad arrivare, ma arrivo a modo mio e non scendo a compromessi. Questo dà fastidio. Non potermi controllare disturba. È un atteggiamento che viene scambiato per arroganza, ma che con l’arroganza non ha nulla a che fare.”

“D: Provi a convincerci.”

“Non mi sento arrivata e chiedo consiglio anche sulla maglietta che devo indossare. Poi qualche sciocchezza l’ho anche fatta, ma non credo di aver mai dato ai miei collaboratori l’immagine di una uscita di senno. Speriamo di averli fatti ridere ogni tanto, in questi anni. Di essere stata imperfetta: per me la perfezione è sinonimo di tristezza.”

“D: Lista dei difetti di Emma.”

“Ha tempo? Deve averlo perché sono un’infinità.”

“D: Limitiamoci al principale.”

“Il difetto più grande e al tempo stesso il più pericoloso che ho è semplice da dire. Io ti do il cuore. Mi faccio ferire, ti perdono, lascio passare gli sgarbi e anche l’ingratitudine però poi, dal nulla, senza che io sia davvero padrone della decisione, una mattina mi sveglio e ti cancello per sempre. Non riesco a tornare indietro.Ti do mille occasioni per annientarmi, distruggermi e uccidermi fino a che, a un tratto, non dico basta. Mi è successo nel lavoro, nelle amicizie, nell’amore. Quando per me non esisti più, non esisti più veramente.”

“D: Hanno provato a fregarla molte volte?”

“Come tutti quelli che si espongono senza scudi, filtri o barriere, mi è capitato, certo. Ma preferisco rischiare e continuare a essere me stessa. È una promessa che mi sono fatta tanto tempo fa: “ll successo non deve cambiarti”. Non mi ha cambiata. Nel bene e nel male. Ogni tanto un amico mi dice: “Non sapevo che fossi anche un po’ stronza”. E io di rimando: “Non mi sembra di avertelo mai nascosto” (Sorride, ndr).”

“D: Negli anni è diventata più prudente?”

“Sicuramente sì. Ho imparato a conoscere i miei limiti, li abbiamo tutti, negarlo sarebbe stupido. Ammetterli è soltanto un atto di coscienza. Un premio. Una carezza a se stessi.”

“D: Cosa la fa arrabbiare?”

“La malafede. Se dici una stronzata, io a star zitta non riesco. Te lo faccio notare. Però in realtà sono quella che vedi dal primo minuto. Non ho maschere. Se mi conosci, con il tempo ti regalo le mie fragilità, il mio essere impacciata, il mio equilibrio incerto.”

“D: Lo aveva anche da bambina, l’equilibrio incerto?”

“Sono figlia di mia madre, ma anche di mio padre che essendo impiegato in un Pronto Soccorso era abituato a parametrare ogni aspetto della vita con il pericolo. “Se ti siedi sullo sgabello, cadi”, “Se attraversi la strada, ti investono”. Non l’ho mai biasimato per questo e però, pur amandolo, al tempo stesso, ho amato anche mia madre che è l’esatto opposto ed era per il “vivi e lascia vivere”: “Non possiamo tenerla sotto una campana di vetro”,diceva. Il mio equilibrio, anche se incerto, l’ho trovato nella diversità dell’esempio.”

“D: A che età ha scoperto l’ambizione?”

“Oddio. Credo di aver avuto sempre la sensazione interiore di voler lasciare il Salento che pure è casa mia, il posto in cui torno sempre non appena posso. Mi sono sempre sentita altrove, pur non avendo altri metri di giudizio. Ci stavo stretta, anche quando ero solo una bambina. Il resto l’ha fatto la musica. Era l’unica cosa che sapessi fare e nel confronto con le altre band, passo dopo passo, ho trovato il mio biglietto per andare via. Il mezzo per cambiare vita.”

“D: Prima fuga, a 18 anni.”

“Tutti dicevano: “Emma è pazza”. E avevano ragione, è ovvio. Perché se non hai mai visto niente che non sia la dimensione del tuo microscopico paese, l’idea di andare in una grande città spandeva attorno un’aria di follia. L’ho fatto, sono andata via e poi sono tornata.”

“D: La prima volta la fuga non riuscì.”

“Andai a fare un programma TV a Roma e anche se la trasmissione non andò granché fu utilissima per capire che avevo ragione. Tornai a casa, ma senza alcun tipo di tristezza. Iniziai a sbattermi, feci miliardi di lavori, la commessa, la magazziniera, l’assistente agli anziani e solo dopo, quando fu veramente il momento di spiccare il volo, ero pronta. Finalmente pronta.”

“D: Il Salento però resta un punto fisso sulla sua carta geografico sentimentale.”

“Il pettegolezzo inutile con gli amici fatto al solo scopo di riderne, le puttanate di sempre, una dimensione ideale, pulita, libera dalle convenienze o dai nomi celebri, che non prevede altro che il piacere di stare insieme come quando eravamo bambini. Mi fa bene il Salento, non è un caso scusi il gioco di parole se ci ho comprato casa. Ho bisogno di normalità: sono una persona normale.”

“D: Sembra non aver dimenticato niente.”

“Mi ricordo tutto, anche le mattonelle della casa di Prato in cui sono cresciuta. Non dimentico nulla, né le cose belle né quelle brutte. Ma non porto rancore e non sono vendicativa. Per esserlo devi nutrire la cattiveria. Una cosa che non mi appartiene.”

“D: Lei si scusa spesso.”

“E dico spesso grazie. Mi sembra naturale. A volte rimprovero anche gli avventori dei bar di Roma o di Milano. Entrano e dicono: “Un caffé”. Allora dal bancone si sente la mia voce: “Si dice buongiorno, potrei avere un caffè per favore?”. Dire grazie è una questione di civiltà.”

“D: In “Stupida allegria”, un bel brano di Fortuna scritto con Franco126, ci sono tre parole. Inaffidabile, fragile, instabile. Quale le somiglia di più?”

“Inaffidabile no. Su di me puoi contare. Se mi dici un segreto me lo porto nella tomba. Fragile e instabile, invece, mi appartengono. Non è facile essere stabili facendo il mio mestiere sa.”.

“D: Lei però ai fan si concede.”

“Per una foto sempre. E ringrazio anche dio che ci sia qualcuno che me la chiede anche se ho i capelli per aria, la faccia stravolta e indosso una tuta. Divento una bestia però, se senza chiedermi il permesso, mi filmi al ristorante mentre magari sto mangiando.”

“D: Perché?”

“Perché non sono una scimmia allo zoo.”

“D: Cos’è l’amore per lei?”

“Qualcuno che ti chiede se hai fame, se hai mangiato, se può prepararti qualcosa di buono.”

“D: Ed è innamorata adesso?”

“Non mi capita da un paio d’anni.”

“D: Le manca?”

“Mi manca sì, mi manca essere amata. Assolutamente sì. Mi rendo conto di amare profondamente una persona quando non cerco il controllo, ma sono circondata da tante relazioni che sono basate sul controllo e da persone che scelgono una persona per poter esercitare un dominio che le rasserena. Secondo me quello non è amore vero.”

“D: Quando è amore vero?”

“Amore è quando tu rischi di mandare a puttane la tua vita perché il tuo fine e amare. Continuerò a vederla sempre così e probabilmente ci rimetterò sempre. Se metti dei paletti non valuti niente: stare con quella persona, farci l’amore, restare sul divano a vedere un film di cui non ti frega niente per il solo fatto di starci con lui. Probabilmente resterò sola per tutta la vita, ma non voglio cambiare la mia visione dell’amore. Vivo in un mondo in cui c’è tanta apparenza e in cui sotto il tappeto delle relazioni virtualmente felici si nasconde l’inferno. A quel tipo di relazione preferisco la solitudine.”

“D: Come è stata la sua ultima storia d’amore?”

“Una cosa vissuta in pieno, senza mettermi al sicuro né pensare a quello che sarebbe stato. Sapevo che poteva distruggermi, ma io so amare soltanto così. Senza difese. Non conosco vie di mezzo: o ami o non ami. Quando sento dire: “Adesso mi impegno per far andare bene la relazione” mi sento male. Mi viene da pensare a un compito in classe. Non mi sta bene. Non voglio essere un impegno, ma la persona che ami. Se non puoi, se non sei in grado, se non ci credi: fatti da parte.”

Veramente una bella intervista, voi cosa pensate delle sue dichiarazioni a 360°?

 

Leggi anche...

Commenta anche tu questa discussione...

  1. alena79il 23/10/2019 13:44

    Bellissima persona con un gran cuore e non ipocrita LOVE

  2. olly25il 23/10/2019 13:53

    amore bello!!! LOVE 

Lascia un commento