Dopo il trapianto, Martina Nasoni a Verissimo: “Ho dato un nome al mio nuovo cuore”

A Silvia Toffanin ha raccontato di aver ricevuto la chiamata il 20 agosto:
“Eh sì, il 20 agosto. È stata un’emozione incredibile. È successo tutto in tempi molto lunghi, ma allo stesso tempo estremamente brevi, perché quella chiamata è arrivata il giorno prima: io ero appena tornata dal mare, quindi ero anche molto rilassata, e quando è arrivata non è stato semplice accoglierla inizialmente.
La prima cosa che ho pensato è stata: ‘No, mi chiudo in casa e non esco più’. Poi però ho ripensato a tutti gli anni trascorsi con quella patologia al cuore e mi sono detta: ‘Sai che c’è? Forse questo è un regalo che Martina oggi deve farsi. Quindi prendiamo tutto il coraggio e affrontiamo questa cosa’.”
La Toffanin ha ricordato:
“Tu hai salutato il tuo vecchio cuore prima del trapianto, il 19 agosto, e poi hai dato il benvenuto al nuovo.”
La Nasoni, rispondendo, è scoppiata in lacrime:
“Sì, ricordo benissimo come ho salutato il mio vecchio cuore. È stato molto intenso: era come salutare un figlio. Gli ho chiesto scusa: avrei voluto portarlo con me nelle mie avventure, ma non era possibile. L’ho accompagnato piano piano verso la fine, cercando di calmarlo e dirgli: ‘Sei stato grande. Abbiamo resistito più del dovuto. Ora è il momento di riposare’. E sentivo una grande pace.
Quando mi sono svegliata dall’intervento, tutta la rabbia che avevo accumulato negli anni — quella sensazione di avere il cervello che vuole fare 10 e il corpo che riesce a fare 7 — era sparita.”
Del nuovo cuore…
Sul nuovo cuore ha poi aggiunto:
“Il cuore nuovo è bravo, è forte. Mi dà emozioni ancora più intense. È stato come accogliere una nuova vita dentro di me. Per me ora ogni cosa è nuova: non mi sento sola. C’è una persona che, grazie al suo ‘sì’ alla donazione, mi ha permesso di essere qui, di rialzarmi, di iniziare davvero a vivere.
Piano piano mi sto rendendo conto di ciò che è successo dentro di me. Ricordo le prime notti: ero in camera da sola e mettevo la musica nelle cuffie dicendo: ‘Vedi? Questa è la musica che ci piace. Questa ci emoziona’.
Lo accarezzavo perché lo sentivo spaventato, come un bambino in un angolo che guarda intorno e dice: ‘Che cosa è successo?’. E io gli parlavo.
Quando l’ho visto la prima volta, non so perché ho detto: ‘Lui è Liam’. Gli ho dato un nome. Non so nulla della persona che me l’ha donato, ma l’ho sentito mio da subito e ho cercato di fargli strada dentro di me.”
Martina ha poi ripercorso la sua infanzia difficile, segnata dalle limitazioni dovute alla malattia e dagli episodi di bullismo da parte di alcuni compagni di classe.
Ha raccontato anche di un insegnante che non credeva alla sua condizione e che l’ha fatta soffrire profondamente.
L’intervista si è conclusa con l’abbraccio di Silvia Toffanin, che le ha augurato il meglio.
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